Nota di chiarificazione (lo stato
attuale della riflessione gnoseologica)
La presente esposizione non mira a
giungere a una coerente sistemazione. Essa costituisce una sorta di “deposito”
di pensieri, che si sono succeduti un po’ come reminescenze di pensieri prodotti
durante la ricerca-epistemica degli anni passati, un po’ come “novità”. Si
ritiene opportuno lasciare una traccia di questa “emersione”, senza quindi
modificarla (in tutto). Questa pagina Web, assumendo progressivamente le
dimensioni di un saggio, ha scontato i limiti della precedente ricerca, che sono
i limiti della produzione di un’abbondante quantità di ipotesi che, in quanto
tale, tende a sfuggire al controllo dell’espositore.
Si cercherà quindi di
riassumere lo stato attuale dalla gnoseologia epistemica (solo il problema
emerso):
- il procedere della metafisica può assimilarsi
al procedere della fisica: questa ritiene dimostrati come esistenti gli enti
apparenti, e il suo problema è quello di definire: la ragione della loro
esistenza, attraverso lo studio della loro origine e delle leggi della realtà,
che spiega il dispiegarsi della materia dall’origine e la struttura della
materia (infatti, lo stato attuale della scienza, frutto della sua
storicizzazione in termini di progresso, consiste in quattro ambiti: “big bang”
inteso come concetto richiamante il problema dell’origine dell’universo; la
struttura della materia; la sua evoluzione, a partire dal big bang; le leggi di
natura, intese come leggi della struttura della materia e della sua evoluzione,
astrofisica e biologica/questa è la scienza-empirica/si aggiunge
l’epistemologia);- allo stesso modo, la metafisica sa già (in qualche modo) che
Dio esiste, perché si è detto che il linguaggio riproduce (… il pensiero che
riproduce …) la realtà/esistenza (quindi Dio riproduce la realtà/ esistenza di
Dio);
- ma il linguaggio è fatto di definizioni;
- le definizioni sono
complesse e “grammaticali” (nesso-logico-razionali);
- questi nessi
dovrebbero riprodurre la stuttura/strutturazione logico-razionale della
realtà;
- (ci si avvicina al punto di comprensione di dove si sia fin qui
arrivati: …) la metafisica replica la scienza (la “fisica”), semplicemente
perché la fisica (il cosmo) riproduce la metafisica (l’essere): la materia è il
principio (“simile” all’atomo, nel senso dell’elemento-base della materia, ecc.
…: il più piccolo immaginabile: onda, corpuscolo o corda …); l’evoluzione
corrisponde allo sviluppo/ divenire del principio (avvertenza: il parallelismo
metafisica/fisica serve a capire dove ci si trova con la gnoseologia metafisica
…); le leggi della natura, cioè della struttura della materia e dell’
evoluzione, corrispondono al “metodo” dello sviluppo (dialettica hegeliana ? …),
il punto della “crisi” dell’attuale presentazione; (l’epistemologia corrisponde
all’epistematica;)
- si sa che Dio esiste, perché ne appare a parola, sempre
però che si dimostri che la parola (e la mente) riproduce la realtà …, ciò va
dimostrato;
- il pensiero (precisazione: quando si parla di pensiero della
sostanza-prima, il pensiero non è più ambito della psicologia-cognitiva, ma
della gnoseologia-epistemica-metafisica) intuisce (conosce in modo perfettamente
dimostrativo) la necessità dell’esistenza dell’esistenza-prima, che infatti è
l’esistenza stessa;
- il pensiero ha ora difficoltà a trovare il medoto dello
sviluppo di tale principio. Senza questo metodo, non si può dire con certezza
che la parola-Dio dimostra l’esistenza di Dio, perché ciò si fonda sul concetto
di riproduzione della realtà nella parola, e ciò può essere dimostrato solo se
si conosce il medoto dello sviluppo della realtà, da cui dipende quella
riproduzione (cioè la riproduzione della realtà nella mente: pensiero,
linguaggio-forma, percezione-sostanza e linguaggio-parola);
- se non si
conosce il metodo, si può però forse intuire che genere di conoscenza ne
deriva;
- (dalla fisica si capisce che la materia è strutturata, quindi anche
Dio, sotteso dalla parola-Dio, è strutturato; ma la cosmologia non ha dimostrato
nulla circa l’evoluzione (contrastata, ad esempio, dal creazionismo), essa è
solo un’ipotesi; la ragione scientifica (e epistemica) sa perfettamente che
l’evoluzione è più di un’ipotesi, e lo sa perché la sua intuizione è metafisica
(noetica), sapere di cui è intrisa la cosmologia (il big bang è indimostrabile,
come lo sono gli infiniti universi), ma essa non è una “favola”: gli scienziati
stanno proiettando nei loro schemi la struttura inconscia del linguaggio-
parola, struttura che l’episteme vuole portare nel conscio anche per questo
riguarda la parola-metafisica;)
- allora il problema è così posto: il
pensiero che “vede” la parola-Dio parte “dal basso” (dalla fine del processo di
sviluppo) (nella mappa, “da destra”); il pensiero che parte alla definizione del
principio, e che utilizzerebbe il metodo (logico-formale-esistenziale: dove
esistenziale sta per sostanziale/sostanza-prima) del suo sviluppo, parte
“dall’alto” (nella mappa, “da sinistra”); quest’ultimo procedimento è totalmente
deduttivo (cioè totalmente noetico/dianotico/mentale); il primo (basato sulla
parola) (che non è induttivo: qui l’induzione non significa nulla) riflette
semplicemente il metodo nel linguaggio;
- a questo punto ci si chiede: a cosa
serve il linguaggio-parola, come base empirica di verificazione, se l’intero
sistema della conocenza è guidato dall’alto, come pura
razionalizzazione/dimostrazione-rigorosamente-logico-matematica, ovvero
applicazione del metodo, allo sviluppo di un principio anapoditticamente
dimostrato esistente ?
- il problema non consiste solo nello “scavalcare” il
metodo (che non c’è ancora) con il linguaggio (ciò è presto fatto: basta
definire come condizione di sufficienza dimostrativa l’uso, non del metodo, ma
del suo significato-tendenziale al sistema totale della consocenza, perché si sa
che il metodo esiste, in quanto appare nel linguaggio, ad esempio di Hegel, ma
prima di Plotino: concetti come l’emanzione, l’evoluzione, la dialettica
hegeliana non sono fantasie, perché sono stati pensati con un “signficato”
esplicativo/esemplificativo), ma nel capire il ruolo del metodo nella conoscenza
e nella sue condizioni di verificazione-empirica;
- si cerca di concludere
così: quel procedimento metodologico, anche se non pensato, può essere scritto
nel linguaggio, a condizione che questo sia una dimostrazione logico-matematica,
che guida l’intuizione del pensiero, e nel contempo, “visto” empiricamente, ne
supporta l’“oggetto” a livello di percezione-empirica;
- poiché il metodo
(ancora) non appare, il linguaggio può compensarlo così: definendo e descrivendo
non lo sviluppo, ma i suoi stadi ai vari livelli, cercando, nelle loro
definizioni, connessioni significanti che surroghino il modello (ad
esempio/forme di procedure conoscitive surroganti il metodo:
- livelli di
astrattezza e di concretezza: come dicono Spencer e Teilhard de Chardin (per
questo si è posto prima il divenire, poi l’emanazione, infine
l’evoluzione);
- disposizione degli enti in modo da seguire un percorso di
tipo “evolutivo”;
- tenere “tutte” le forme (apparse nella storia del
pensiero come “significanti”/tentativi di esplicazione), concependole come
“dogmatismo-soprannaturale-naturale”, ovvero proiezione di intuizioni inconsce,
“vere” quanto più attendibile è il pensatore (non in senso etico, ma in senso
logico, e non in senso di erudizione, ma nel senso dei tre critieri di verità: è
chiaro che Nietzsche ha pensato alcune forme della necessità [il caos, il
super-uomo, l’eterno, il tempo circolare, la volontà di potenza], ma non potrà
di certo costituire l’impalcatura dell’episteme, in quanto la sua “attendibilità
epistemica” viene auto-negata);
- cercare di disporre le forme in modo
significante, seguendo il principio (speculativo-massimo) della verità del
desiderio, e conseguentemente il principio di corrispondenza tra logica ed etica
(è chiaro che un uomo favorevole [a qualunque condizione] all’aborto non
potrebbe mai accettare in blocco il depositum fidei, e quindi non è
epistemicamente attendibile);
- tenere le posizioni speculative “aperte” e
“positive” (ad esempio: chi è favorevole all’aborto dice “no” alla vita, e
quindi esprime un atteggiamento “negativo”;
- altri metodi, condizioni,
procedure, “tendenze”, pre-disposizioni, criteri, ecc. (tutti dotati di senso:
si guardi alla mappa e alle “sensazioni” noetiche e dianotiche che essa produce
al pensiero intuitivo).
Come si vede tutte queste forme
di surrogazione del “metodo” servono a gerarchizzare il linguaggio, in modo da
razionalizzare il più possibile le relazioni da instaurare al suo interno, tra i
suoi termini, che così acquistano senso (vitale) e significato (speculativo,
quest’ultimo in funzione del primo).
Socrate diceva “so di non sapere”.
L’episteme sa ovviamente di non sapere ma (qui la modestia o la presunzione non
c’entrano, essendo atteggiamenti anti-scientifici) l’episteme attuale potrebbe
dire: “so di sapere, anche se non so dimostrarlo”; agisce cioè l’intelletto
inconscio, ciò che è senz’altro epistemicamente limitato, e tuttavia
significante: tale capacità di auto-intuizione e di auto-consapevolezza deve
essere ancora spiegata (si tenga presente che, al di fuori del procedimento di
posizione dei sistemi filosofici storici all’interno della matrice dimensionale,
come evidenziato nella mappa, questi sistemi appaino tutti quanti confliggenti
tra loro [senza tenere conto del loro rapporto con lo schema tripartito, nel
quale Platone e Aristotele appaiono del tutto inconciliabili con la teologia
cristiana]/per questo si ritiene che, essendo questi sistemi significanti,
l’episteme attuale sia un’ipotesi probabilmente “valida”, ovvero
“speculativamente sensata”.
In assenza del metodo, di più
l’attuale tentativo di ragione epistemica per adesso non ha saputo/ potuto fare
per sostituirlo, da livello di linguaggio. Tale sostituzione spiega ora
perfettamente le difficoltà e le soluzioni descritte nella terza dimostrazione,
che potrebbe costituire non solo l’asse portante della dimostrazione unitaria
ma, considerata in entrambe le sue versioni (dall’alto-da-sinistra e dal
basso-da-destra: dalla protologia al linguaggio), anche l’asse portante
dell’intero episteme.
nota
Integrato il paragrafo p6.1: la
gnoseologia epistemica riproduce il criticismo in termini matefisici (ma il
criticismo non si "riudce" per questo a gnoseologia kantiana, in quanto i limiti
alla conoscenza metafisica continuano a rimanere anche per l'episteme: ora
questi limiti non sono più però quelli posti da Kant [che varrebbero anche per
Dio] ma [risolti in Dio, che è il soggetto-vitale-standard per l'esistenza],
valgono per la conoscenza umana, essendo l'uomo separato da Dio e decaduto), e
la gnoseologia dell' aristotelismo.