sintesi della metafisica_epistemica
alla base della
ricerca_epistemica possono essere poste indicativamente sette istanze:
1.] in una conferenza a venezia
sulla cosmologia, circa nell’anno 1992/1993, gli astronomi ipotizzavano
l’esistenza di infiniti universi, e la ipotizzavano con la consapevolezza di
determinare la periferizzazione [= dis_orientamento/smarrimento] dell’uomo
[quello che è stato definito in questo sito “effetto_leopardi”]: già l’uomo è
piccolo in un singolo universo, ora si ipotizzano infiniti universi. da questa
conferenza la ricerca_epistemica ha acquisito tale ipotesi sull’infinità dei
cosmi [creati], e ha cercato una metafisica capace di commensurare [tramite dio
e la triangolazione dell’uomo su dio] l’infinito [creato], allo scopo di ri_orientare
l’uomo nel mondo: l’infinito creato è infinitesimale rispetto all’infinito non
creato.
2.] circa a questo periodo risale
lo schema epistemico di concepire
a.] l’essere [“esistenza_in
sé_pura”: il “principio”] come una sostanza in_determinata e astratta,
b.] e come una linea evolutiva,
concepita come complessità e concretizzazione crescente,
c.] ponendo dio [e non solo l’uomo]
al termine di tale linea evolutiva [concepita come emanazione capovolta
rispetto a quella plotiniana: dio come termine complesso dell’emanazione
evolutiva del/dal principio semplice].
si osserva che fin dall’inizio
della ricerca_epistemica, l’impostazione del discorso teologico [teologia
epistemica] [non concepito in chiave religiosa/nel creazionismo_epistemico, ad
esempio, come dall’inizio della ricerca_epistemica, dio viene concepito come
uno “scienziato”, che progetta l’uomo con la tecnica] era stata posta [per il
punto 1.]] già in modo differente rispetto al modo tradizionale teologico,
preoccupato specialmente di distinguere dio dal mondo, cioè di evitare il
panteismo: questa identificazione nell’episteme era impossibile [anche perché …
a.] gli scienziati concepiscono
il mondo come infinite bollicine scoppiettanti, ciascuna delle quali è un cosmo
originato da un big bang;
b.] in tale concezione è
difficile identificare un singolo cosmo come un organismo divino vivente;
c.] l’infinità del numero dei
cosmi porrebbe infatti infiniti organismi viventi, ciò che contraddice l’idea
di unità di dio ed anche il politeismo classico] …
… si è quindi evitato subito
nell’episteme il panteismo: infatti, nella ricerca epistemica, per evitare il
problema di cui al punto 1.] [s_marrimento dell’uomo per gli infiniti
universi], questi dovevano essere “rimpiccioliti” e dio, per poterli
commensurare, scavalcare, creare e, così raggiungere l’uomo,
corrispondentemente ingrandito, fino a concepirli come tutti concentrati in un
punto a densità infinita, che dio tiene come sulla punta del dito indice della sua
mano: dio ingrandito e la creazione resa rispetto a dio infinitesimale
comportava l’immediata distinzione tra dio e il mondo [creato], quindi il
panteismo classico [per la preoccupazione di cui al punto 1.]] era evitato
immediatamente.
allora, quell’essere
indeterminato e astratto, da cui si traeva dio per emanazione evolutiva, non
poteva certamente essere confuso con il mondo [creato], che era stato reso
piccolo e infinitesimale rispetto al suo creatore [poi la differenza tra dio e
creato, oltre che dimensionale, diventerà anche analogica nell’essere, nel
senso che l’essere, come sostanza di dio, è qualitativamente differente
dall’essere, come sostanza del creato, differenza dovuta al differente rapporto
tra dio e il creato con il principio, per cui l’infinito del creato è
infinitesimale rispetto all’infinito di dio, e non “concorrente” con esso].
solo in questo ultimo periodo,
con la lettura di “ritornare a parmenide” di severino, ci
si è resi conto della differenza tra l’episteme e la
storia della filosofia.
3.] secondo l’episteme, nella
storia della filosofia il filosofo vede il mondo con gli occhi di dio, perché
le categorie della filosofia e della scienza sono originariamente quelle con
cui dio conosce se stesso e il proprio mondo eterno/uno dei
concetti fondamentali della ricerca_epistemica [detto anche
rivoluzione_epistemica], che sta alla base dell’interpretazione epistemica
della storia della filosofia [paradigma tramite cui si è così in grado di
riscriverla con il seguente procedimento, attribuendo analogicamente all’al_di_là
tutti i caratteri formali (ipostatici) dell’al_di_qua, eternizzati e assolutizzati],
è che il filosofo, inconsapevolmente, vede quasi sempre il mondo [terreno] con
gli occhi di dio, cioè proiettandovi nella dimensione terrena le categorie
conoscitive, di dio ed ereditate dall’uomo, con cui dio conosce la propria
realtà eterna [ultra_terrena]. seguono alcuni esempi:
a.] se il mondo secondo
aristotele è eterno, ciò è perché eterno è il concetto primario di mondo, cioè
quello del mondo di dio e per dio;
b.] la sociologia di comte studia
la configurazione definitiva della comunione [società e sociocrazia] delle
anime in paradiso, proiettata nella dimensione terrena;
c.] come esiste l’evoluzione
terrena, così esiste l’evoluzione eterna, che ha condotto a dio [ad esempio,
come generazione del verbo/non nel tempo: principio sincro_causale];
d.] come esistono lo spazio e il
tempo terreni, così esistono lo spazio infinito e il tempo eterno ultra_terreni,
e lo spazio/tempo assoluto, intuito da newton/i quali sono lo spazio e il tempo
del mondo, infinito ed eterno, di dio e per dio;
e.] come esiste un mondo per
l’uomo, così esiste un mondo per dio [per il paradigma dell’imago_dei]: esso
non è solo il mondo eterno creato, secondo avicenna e averroè, ma è il mondo stante
sopra dio [platonicamente], e al cui interno dio vive, attingendo ai suoi
“frutti_edenici”, le idee_iperuraniche, sintesi delle ipostasi [parti]
dell’essere_eterno_necessario;
f.] come esiste la tecnica per
l’uomo, così esiste la tecnica in dio e per dio, eterna e non creata da dio, ma
posta anch’essa, come dio, dal principio …
g.] e così per ogni altro ente
creato, analogico a quello eterno;
h.] così, le antinomie kantiane trovano
soluzione: il mondo è sia creato che non creato, sia limitato che illimitato,
sia finito che infinito, a seconda che sia il mondo creato umano o il mondo eterno
divino.
… forse solo il pensiero
medievale, consapevole dell’esistenza della creazione non eterna [mentre, ad
esempio, aristotele e spinoza non ne sono consapevoli], che è il mondo
apparente, ha evitato la proiezione categoriale del mondo eterno divino sul
mondo creato umano apparente [proiezione agente invece in avicenna e averroè,
come in ogni altra concezione del mondo apparente differente da quella del
magistero_ecclesiale], però il pensiero medievale ha rimosso il mondo eterno
divino, distinto da dio, adottando lo schema tripartito [dio, mondo creato e
uomo, con solo dio ente eterno e necessario]/così, ad esempio, s. agostino ha
incorporato le idee_iperuraniche platoniche all’interno della mente di dio
[come anche anche l’episteme, distinguendo tra idee interne a dio ed esterne a dio,
queste ultime platoniche in senso proprio]. nel pensiero medievale solo dio è
eterno e necessario [nell’eternità esiste solo il soggetto], e così non viene
spiegata ogni metafisica che ponga insieme a dio qualche altro ente eterno e
necessario [oggetto eterno].
4.] l‘episteme recupera quindi lo
schema quadripartito platonico [oltre a dio, il mondo creato e l’uomo, esiste
anche il mondo eterno di dio, non solo il mondo di avicenna e averroè, che sta
aristotelicamente “sotto” dio, ma il mondo secondo platone, con l’uno posto
prima e sopra dio], con l’essenziale differenza dal platonismo di fondare sulle
realtà eterne distinte dal demiurgo il fondamento evolutivo di una
teogonia_scientifica, che pone il dio_cattolico [il demiurgo platonico] al
centro dell’essere_necessario [dio trascendente il creato, come si è detto]:
cioè, nell’episteme l’uno platonico sta prima e sopra dio, come in platone, ma
è [geometricamente] finalisticamente convergente su dio [come evidenziato nella
mappa dell’essere], il quale è il centro e il fine dell’esistenza_necessaria e
creata [mentre in platone il fine dell’uomo è l’uno_bene, e il demiurgo è solo
un’ipotesi secondaria].
5.] il punto più decisivo
nell’episteme è la distinzione tra dio e il principio: quest’ultimo non è
concepito come una sostanza “idolatrica” [come l’uno_bene di platone, che è
tale perché prevale sul demiurgo, il quale è secondario rispetto all’uno_bene,
e l’uomo e il demiurgo contemplano l’uno_bene e le idee, mentre nel
cristianesimo, come nell’episteme, l’uomo deve concentrarsi solo sul demiurgo,
il dio_cattolico creatore del mondo (creato) e dell’uomo]. il principio,
nell’episteme, non è una sostanza idolatrica [come l’acqua di talete o
l’infinito di anassimandro], proprio perché è la pura esistenza, l’esistenza
pura in sé, il puro esistere astratto e indetermianto, il quale, ponendo dio
necessariamente, come dio trascendente il creato ed auto_trascendente se
stesso, garantisce l’essenza “cattolica” del dio concepito dalla teologia
epistemica, inteso come co_originario al principio [nel senso della necessità],
e come fondamento, in quanto libero creatore, della realtà creata e
dell’uomo_creaturale, realtà che, come si è detto, essendo infinitesimale, non
può essere confusa né con dio né con il principio [principio che non è
“immanente” a qualcosa, essendo il principio di tutto ciò che è necessario,
principio della trascendenza e dell’immanenza divine].
riprendendo il punto 3.] [il
filosofo vede il mondo con gli occhi di dio, perché le categorie della
filosofia e della scienza sono originariamente quelle con cui dio conosce se
stesso e il proprio mondo eterno], si è intuito che talete [che non a
caso fu il primo dei filosofi, essendosi interrogato sulla prima sostanza, cioè
sul principio/archè: il primo dei filosofi ha mosso il proprio pensiero sul
pensiero del principio: così è iniziata la filosofia, con il pensiero dell’origine],
avendo guardato il mondo con gli occhi di dio, ha pensato come dio stesso pensa:
sia talete che dio si interrogano sul principio della realtà. talete
è più come aristotele che come parmenide, talete non si chiede quale sia il
principio unificatore del molteplice caotico, come fondamento della realtà che
diviene, ma si chiede, per un mondo che per lui è indifferentemente concepito
come eterno o creato, come perfetto o imperfetto, quale sia il principio che
orgina il mondo e tutte le cose [compresi gli dei eterni], cioè il principio
dell’eterno stesso, e così fa dio: anche dio si chiede quale sia il principio
che origina il mondo eterno e dio stesso: “qual
è il principio [archè] che mi origina ?”, si chiede dio [= talete]. la risposta
non è dio, ma è l’archè, cioè il principio, identificato epistemicamente con
l’esistenza pura, con il puro esistere,
il quale origina direttamente dio e il suo mondo, mentre il creato [mondo
dell’uomo] è originato da dio, suo creatore.
il concetto che si vuole
esprimere è che, all’inizio della filosofia, il moto originario del pensiero,
così come apparso in talete, è il moto del pensiero proprio di dio: anche
dio si chiede la ragione della propria esistenza e del fondamento della
realtà_necessaria, che precede dio e di cui dio è il centro, come nucleo
trascendente dell’essere_necessario. dio, quando si chiede,
circondato
a.] dal suo mondo eterno,
b.] dalla sua tecnica eterna,
c.] dall’evoluzione eterna, che
converge a dio [come la generazione del verbo],
… ipostasi che per l’episteme
sono solo secondariamente finalizzate al creato, ma sono innanzitutto
finalizzate alla realtà_necessaria, essendo le ipostasi del mondo di dio e per
dio, … quando dunque dio si chiede, come talete, qual è il principio
dell’essere [necessario] e di se stesso, risponde come talete, non dicendo
“sono io”, ma dicendo “è il principio, esterno a me e diverso da me”, cioè
l’esistenza pura [= l’acqua di talete], che lo pone necessariamente. dio è il “principio”
solo rispetto al creato. come talete, anche dio si chiede qual è
il principio, e talete si è posto questa domanda perché usa le categorie del
pensiero di dio, che sono lo stesso modo di “interrogarsi” di dio
[in realtà dio non si pone domande, sa solo risposte]. come per platone il
principio, come uno_bene, è tale per le idee, che sono eterne, e non per il
mondo, di cui il principio è il demiurgo [ma in platone l’uno_bene è principio
anche del demiurgo e del caos, come nell’episteme, partendo però dall’essere,
che pone l’uno, mentre dio è il bene], così è per dio: il principio è tale per
il mondo eterno divino, non per il creato, di cui dio è il principio.
l’interpretazione epistemica dell’essere
in quanto essere, come esistenza/principio, è diversa da come l’essere è stato
interpretato nella storia della filosofia secondo severino, per il quale il principio
è la sostanza “comune” a tutti gli enti, e non la loro causa esistenziale [come
nell’episteme]. il principio, nell’episteme, è invece più propriamente quello
secondo talete e anassimandro, cioè è la causa_esistenziale della realtà
[necessaria ed eterna] [causa non nel tempo], anche quando questa è eterna.
così ad esempio il verbo è generato dal padre, ma è co_eterno al padre, non si
tratta di una generazione “nel tempo” [non esiste infatti un tempo in cui il
verbo non esista]. i concetti più vicini a quello di essere proprio
dell’episteme sono quelli secondo parmenide [essere indeterminato] e heidegger
[il ni_ente come essere astratto, de_materializzato/de_entizzato]. severino
interpreta l’archè come physis: per lui l’essere è l’ente_determinato, definito
non positivamente [come fa l’episteme, definendo circolarmente l’essere con
l’essere, perché l’essere è auto_fondamento], ma negativamente, come
“opposizione al nulla” [già si è detto che l’opposizione al nulla non può
esistere per definizione, e l’episteme oppone l’essere all’essere, in quanto
l’auto_fondamento, fondante e fondato, pone la differenza assoluta tra
essere_fondante ed essere_fondato: ciò origina il divenire, come incessante
permutazione tra fondante e fondato, per la salvaguardia dell’identità
originaria del fondante e del fondato, tra essi anche differenti].
6.] se può fare difficoltà
concepire il principio di dio fuori di dio [subito si
penserebbe (erroneamente) di dover adorare il principio, anziché dio, come fa
platone con l’uno_bene, superiore al demiurgo], si osserva che la prima
preoccupazione della teologia tradizionale, quando definisce dio come il solo …
a.] essere non determinato,
b.] originario
c.] necessario
d.] avente in sé stesso la propria
ragione d’essere,
e.] tutte determianzioni che
nello schema quadripartito si applicano ad ogni altra ipostasi eterna e
necessaria [la tecnica, il cosmo, l’evoluzione, ecc.], …
… consiste nel distinguere dio
dal mondo creato, cioè nella difesa apologetica del cristianesimo dal
panteismo, distinguendo tra dio come realtà_necessaria [= che ha in sè la
propria ragione d’essere], e la realtà creata non necessaria [= che non ha in sè
la propria ragione d’essere]. ora, invece, nell’episteme, dio non ha in sé la propria
ragione d’essere, se non nel senso di costituire una parte necessaria della
realtà necessaria [dio come funzione esistenziale, necessaria al completamento
dello sviluppo necessario dell’essere in sè]. questa preoccupazione non
appartiene all’episteme, perché la realtà apparente è senz’altro contingente,
in quanto il mondo eterno è stato portato nell’al di là, come mondo di dio e
per dio, e il mondo creato non può essere confuso con esso, in quanto infinitesimale
rispetto a dio e al mondo eterno divino. l’episteme ha infatti distinto
dimensionalmente dio dal mondo creato, oltre che porre nell’essere di dio e
nell’essere creato una differenza analogica rispetto al principio del primo
[mentre dio è il principio del secondo, come dio_creatore].
la teologia tradizionale, fondata
sullo schema tripartito [in base al quale un mondo spazio_temporale è solo
quello creato], non può concepire un mondo eterno per dio, perché finirebbe con
il definirlo [in modo differente da avicenna e averroè] come mondo co_eterno a
dio, e quindi non causato da dio e parallelo a dio. l’episteme, traendo dio e
il suo mondo dal principio, può porre il mondo di dio come mondo per dio [come
il creato è per adamo e l’uomo]. quindi la distinzione tra dio e il principio è
necessaria, se esiste un mondo per dio. e questo mondo esiste, perché l’uomo è
a immagine di dio, e come l’uomo vive in un mondo, così originariamente dio:
per questo dio, oltre che l’uomo, ha creato anche il mondo, e vi ha posto
l’uomo: perché dio stesso abita la sua “casa” [paradiso = regno = tecnica], in senso non
metaforico [il tabernacolo non è una metafora, è “struttura”].
7.] la difficoltà permane, ma
l’episteme dice che dio, oltre ad essere originato dal principio, è originato
anche da se stesso [dio come auto_principio], e quindi anche dio [oltre che il
principio] ha in se stesso la propria ragione d’essere [come ogni altro ente
eterno e necessario]. invece ciò che è essenziale [nelle implicazioni etiche di
una concezione dell’essere], il creato non ha in se stesso la propria ragione
d’essere e non è eterno [il creato di avicenna e averroè è un’ipostasi del
mondo eterno, proiettata nella dimensione terrena], quindi ogni difficoltà è
superata. dio è dunque co_originario al principio [come ogni altro
ente_necessario]. la distinzione tra principio e dio consente soprattutto di
dimostrare come di spiegare la ragione dell’esistenza di dio: cioè di
rispondere alla domanda: “perché dio esiste ?”. dio si chiede:
“perché esisto ?”. a questa domanda ha risposto la teogonia_scientifica_epistemica,
su cui si ricalcano le dimostrazioni, seguendo lo sviluppo del principio fino a
dio.