SEDICESIMA DIMOSTRAZIONE (RUINIANA: EPISTEMICA-SECONDA)
Integrazioni (elementi fondamentali di gnoseologia)
Il
pensiero costituisce un momento-di-identificazione tra il soggetto e
l'oggetto (condizione parmenidea idealistica/corretta), e questa
identificazione avviene in modo e a livello esistenziale (non solo
percettivo); in Paradiso, l'immagine di Dio determina la
"consapevolezza" (intuizione-epistemica) che quella immagine
corrisponde al "vero" Dio-oggettivo (e non è, per esempio, un
ologramma/problema del dubbio cartesiano proiettato in Paradiso),
perchè quella identificazione avviene tra l'uomo e il vero Dio:
non è questione se sia dimostrato che questo è il vero
Dio, è questione che, se esiste un vero Dio, in Paradiso l'uomo
vi sarà identificato, e ciò determina almeno due
conseguenze:
1.] pienezza estatico-eudemonistica e erotico-edonistica tale, per cui
l'uomo non ha bisogno di "altro" (condizione della
compensazione-paradisiaca-totale, o
"standard-normale-energetico- spirituale"/lo spirito nell'episteme non
è elemento religioso, se non in quanto classificato tale);
2.] il tipo di innesto in Dio (definito dalla teologia classica
"inabitazione" e da Heidegger "im-pianto") è tale, per cui
l'uomo sa, e in modo psicoanaliticamente incontrovertibile
(compensazione e attivazione schematica inconscia di tipo
infinito-attuale/ contatto-diretto, nel profondo dell'inconscio, col
principio/l'angoscia per il nulla e la morte, oggi, è dovuta al
fatto che l'uomo non ha contatto diretto col principio, cercato ad
esempio in tutte le religioni "idolatriche", tra cui il platonismo, che
relazione l'uomo non al Demiurgo, ma direttamente all'Uno, scavalcando
il Demiurgo, ciò che è lecito, in parte, solo in
Paradiso) che la sua condizione paradisiaca è
incontrovertibilmente "stabile", ovvero non-reversibile neppure da
parte di Dio (S. Agostino: "non posse peccare").
Ciò
spiega perchè Einstein "sa" dentro di sè le leggi
fisiche, e contribuisce a dimostrare ruinianamente l'esistenza di Dio:
1.] da un lato (come
anche ha detto Severino), l'uomo è "rete estesa come il mare", e
cioè "microcosmo", che è a contatto col cosmo, vi
è identificato, e quindi lo conosce;
2.] dall'altro, si ritiene di poter dire che, sebbene "estesa come il
mare", la rete che è l'uomo, per le sue dimensioni-quantitative
(che sono molto più grandi di quelle apparenti/"molto" significa
infinite ...) non sia tuttavia estesa in modo sufficiente a comprendere
(includere) l'Intero (termine neo-scolastico) (dottrina degli ordini di
infinito), per cui Einstein "sa" perchè è a contatto con
l'Episteme (= Cristo), che gli dà la vita (come a tutti,
biologicamente) e gli consente di conoscere ("campo divino" esteso come
l'intera esistenza).
E' errore (all'interno delle ipotesi epistemiche) dire che Einstein
può conoscere anche "da solo" (senza la mediazione dell'
Episteme), perchè conosce un oggetto "vicino" (come la "forza di
gravità" terrestre) e non "lontano" (come Dio): si ribadisce
quanto detto nella presente dimostrazione, e cioè che (essendo
tutto in tutto) lo specchio-uomo non può conoscere, solo
perchè piccolo, in modo piccolo: per le strutture della
necessità si può essere solo "grandi" e conoscere
"in-grande", cioè infinitamente. Einstein conosce infinitamente
a livello inconscio (come ogni uomo), e fa emergere al conscio solo una
piccola parte di ciò che conosce. Le sue parole ("il cervello usa solo una parte delle sue potenzialità"),
al di là del loro contesto, rivelano forse
inconsciamente la consapevolezza che tali potenzialità
sono quelle metafisiche/quando si è detto che il pensiero
è solo infinito e appartiene a tutti, si è inteso
dire questo (e ciò dimostra l'esistenza di
Dio: dimostrazioni sesta e sedicesima): la parola "Intero"
(tutto), la parola "Dio", ecc., evocano termini che l'uomo può
intuire (anche solo nominare), in quanto l'uomo è connesso,
con la mediazione dell'Episteme, al tutto: la parola è povera,
debole, non creduta, ma la sua pronuncia presuppone fenomeni di
proporzioni immense; l'Episteme media anche in Paradiso, e consente la
conoscenza dell'oggetto perchè è identità
panteistica tra Dio e l'Intero (in Cristo devono essere distinte
la persona dalle due nature, divina e umana: la persona è
diversa dall'oggetto-altro-da-Dio; le due nature operano
l'identificazione panteistica parmenidea [Dio-Figlio conosce il sasso
perchè è [[anche]] il sasso]/l'episteme non è
forma di panteismo, bensì "sfrutta" il paradigma del pantesimo
in termini gnoseologici, e così lo epistemizza/la persona
è non-alienata [io-io], le due nature sono alienate [io-non-io]:
epistemizzazione del concetto di alienazione).
Inizio dimostrazione:
L’uomo (e innanzitutto
Dio) può conoscere,
perché l’esistenza di Dio (inteso qui rigorosamente come
Dio-Figlio, che è il Logos del Padre, cioè la sua seconda
"mente-cervello", estesa come l'intera esistenza) è lo strumento
(aristotelicamente: "Organon"),
che gli consente di conoscere, rendendogli intelligibile la
realtà intera/quindi: ... Dio-Figlio] = [Episteme.
Il team-espositore non è riuscito a comprendere
perfettamente la dimostrazione espressa da Sua Eminenza il Card. Camillo Ruini (Vicario
di Roma e Presidente della CEI), che così si esprime:
1.] (prima parte della
sedicesima dimostrazone …): “l’universo
è conoscibile da parte dell’uomo … questa intelligibilità intrinseca non può
essere il frutto di un’ intelligenza ordinatrice semplicemente esterna al
mondo, ma non può nemmeno essere qualcosa di cui la natura non intelligente è
dotata di per se stessa e in maniera autonoma: sostenere questo equivale
infatti a rinunciare a cercare le condizioni che rendono possibile tale
intelligibilità, anzi implicitamente a negarle, apparendo del tutto
ingiustificata e alla fine assurda una intelligibilità che esiste di per sé
senza essere frutto di un’intelligenza. Siamo condotti così a individuare la
condizione che rende possibile l’intelligibilità intrinseca dell’universo in un’
intelligenza che sia, appunto come intelligenza, distinta e trascendente
rispetto alla materia non intelligente, e però nello stesso tempo a essa così
originariamente e costitutivamente presente da porre in essere una materia in
se stessa intelligibile” (Card. Camillo Ruini, “Le ragioni della fede”,
1993). La presente dimostrazione ha suggerito tuttavia la seguente riflessione,
che dovrebbe in qualche modo suffragare la dimostrazione ruiniana e così
completarla:
2.] (seconda parte …) inizialmente,
la ricerca-epistemica ha interpretato la dimostrazione ruiniana come
conferma
della gnoseologia epistemica: l’uomo può conoscere solo
perché inserito in un
“campo divino”, e, del resto, la prima dimostrazione non
dimostra l’esistenza
di Dio solo perché ha compreso che, in base al principio
antropico, lo specchio
(il pensiero), per riflettere l’esistenza (immensa), deve essere
immenso
(quindi: specchio = Dio); ma altresì (e questa è
un’altra dimostrazione, che
segue quella ruiniana e ad essa si associa: seconda parte della
sedicesima
dimostrazione), proprio perché lo specchio -uomo è
“inadeguato” (non per i
limiti dovuti alla caduta, ma per le “dimensioni”
intrinseche dell’uomo, dovute allo standard- necessario del
Creato),
l’uomo non può conoscere (non che uno
specchio-piccolo può conoscere in modo
“piccolo”: la grandezza dello specchio è solo di
tipo-standard, ed è solo quella
divina, cioè l'uomo non può da solo, isolato dalla
Trinità, strutturalmente "conoscere", senza Dio, egli verrebbe
annientato" dalle strutture della necessità), e allora
l’uomo conosce (lo si constata) proprio presupponendo lo
specchio-divino, cioè perché inserito in tale
“campo” (sedicesima
dimostrazione: Dio come condizione di intelligibilità, secondo
Ruini);
3.] (terza parte …) dopo aver
presentato le tre dimostrazioni di Cartesio, nella loro
storia della filosofia per i licei Abbagnano e Fornero presentano l’argomento di Cartesio fondante
della sua metafisica, argomento che non viene considerato come una “dimostrazione”:
esso è invece la terza parte della sedicesima dimostrazione (anch’essa vede Dio
come la condizione ruiniana dell’intelligibilità della realtà, "estensione" dell’universo):
“Dio è dunque quel terzo termine che ci
permette di passare dalla certezza del nostro io alla certezza delle altre
evidenze” (Abbagnano Fornero, “Filosofi e filosofie nella storia”, 1992).
Si richiama a questo punto la definizione che si è data di episteme nella
home-page: l’Episteme (= Dio-Figlio) è il Logos sovra-stante (epi-steme)
l'Intero dell'essere, ovvero "la rete estesa come il
mare" (cioè sovrap-posta ad esso: epi-steme). Ecco dunque che la
dimostrazione ruiniana viene “potenziata”: non solo Dio
è condizione di
intellegibilità della realtà per-l’uomo, soggetto
limitato “per-standard” (non
per la caduta), ma, inteso come Logos (Dio-Figlio), Dio (= Episteme)
è la condizione di
intelligibilità della realtà per-Dio stesso, inteso come
Dio-Padre, soggetto
illimitato “per-standard” (ma "incapace" di conoscere senza
il Figlio, le cui proporzioni sono immenso-colosso-gigantesche/ad
esempio, gli infiniti-universi-creati teorizzati dagli
scienziati-astrofisici, anche se ciascuno infinito, stanno tutti,
rispetto a Dio, concentrati in un punto di dimensioni pari a un epsilon
tendente a zero, ovvero infinitesimale).
A questo punto è opportuno fare le seguenti riflessioni:
1.] la scienza empirica e la sua razionalità sono limitate
così come sono conosciute e fondate dall’epistemologia,
dal punto di vista delle
condizioni di conoscibilità della scienza (ciò che segue
è ipotesi di critica e superamento del kantismo, ma la
gnoseologia epistemica è forma di kantismo), nel senso che solo
un
approccio gnoseologico di tipo metafisico potrebbe fondare la
conoscibilità
della scienza empirica e sperimentale (posto che è
platonicamente intelligibile
non un ente “privilegiato” ma, epistemicamente, ogni
ente in quanto
“pensato”, ciò che è diverso
dall’essere “percepito”), come ha intuito il
Card. Ruini (“in realtà è pure di “filosofia prima” l’approccio con cui Kant,
riflettendo sulle condizioni di possibilità della scienza, giunge a formulare
la sua concezione delle forme a pripriio della nostra conoscenza”): l’uomo
“non vede” una legge fisica, ma la sa formulare (cioè, l’uomo vede due enti, e
sa formulare il passaggio da un ente all’altro, ma questo passaggio, inteso
come legge fisica, “non appare”: il sasso cade, ma non “si vede” la “forza di gravità”). Dice Einstein: “le
leggi che formulo è come se ce le avessi già nel cervello” (innatismo).
Il kantismo (che
non è stato “sorpassato” dalla geometria
non-euclidea, bastando prevedere un
“allargamento” delle categorie, e non escludendosi una
riconduzione di ogni geometria
a quella euclidea/il kantismo è forma di innatismo, e questo non
esclude nè l'evoluzionismo nè il principio della
tabula-rasa, auto-concetti) sostiene che l’uomo può
formulare le leggi, perché ne ha gli
schemi, ed essi sono solo soggettivi, non oggettivi. Il superamento del
kantismo e la sua apertura alla metafisica (fondata sullo stesso
“schema”
kantiano) sta qui: ad esempio, gli schemi della legge fisica non sono
solo soggettivi,
non lo sono perché prevedono il comportamento degli enti e
questi enti sono i “dati” dell’ esperienza;
essi sono sì posti in categorie soggettive (lo spazio e il
tempo, sia detto
questo escludendosi l’analisi epistemica), ma resta il fatto che
gli schemi
dell’uomo prevedono il comportamento di questi enti e non
già lo creano-determinano:
posta l’oggettività del noumeno, che sta dietro ogni ente,
l’uomo prevede il
comportamento dell’ente-fenomeno, e quindi del noumeno stesso,
che gli sta
dietro (si comprende perché il nichilismo
speculativo escluda
l’esistenza oggettiva di un “noumeno”: tale esistenza
sarebbe posta dal
pensiero, che così rivelerebbe le sue potenzialità
meta-empiriche [metafisiche],
non apparendo il noumeno, di cui si predicherebbe tuttavia
l’“esistenza”, non vista ma conosciuta); si
ribadisce: mentre la mente trasporta con sé la rappresentazione
della fantasia,
la mente non riesce a trasportare con sé la rappresentazione di
una galassia,
la quale, distolto lo sguardo, riapparirà il giorno dopo, e
quindi dietro la
costruzione soggettiva della galassia (la sua “sostanza”
soggettiva, includente
la forma accessibile all’uomo) stanno la sua esistenza e la sua
forma
(ipostaticamente ancora non accessibile) “oggettive”;
2.] l’uomo quindi conosce ciò che non appare, e questo anche nella fisica: ad
esempio, la legge di gravità (che è senz’altro uno schema soggettivo, ma al
quale obbediscono rappresentazione, di cui l’uomo non ha il controllo, come le
stelle e le galassie, o come gli uomini della società, che si “ribellano” al
tentativo di essere assoggettati alle loro reciproche rappresentazioni,
dimostrando così la loro reciproca “alterità” e “pluralità” esistenziale). Come
può essere questo ? ciò avviene perché l’uomo agisce tramite un (terminologia-epistemica:
…) “fattore di commensurazione e di triangolazione”, che è l’Episteme-organico
(Dio-Figlio), attraverso cui Dio stesso (Dio-Padre) “può” conoscere. Perché ?
si può ricorrere alla sesta dimostrazione (e ciò che segue è - se possibile - la perfetta
interpretazione della dimostrazione ruiniana): solo se esiste un soggetto
(unico termine a cui imputare la conoscenza, in quanto soggetto, ovvero
pensiero: Logos) che è (per il principio-gnoeseologico-fondamentale parmenideo:
essere] = [pensiero; corretto dalla riforma del principio di non
contraddizione, dal suo “idealismo”) identità tra realtà e pensiero (e questo
non può essere l’uomo, ente dimensionalmente limitato), ogni pensiero
(Dio-Padre o l’uomo) può conoscere, se e finchè vi è associato e parzialmente
identificato (per la “trasmissione” della conoscenza).
Ciò significa molto semplicemente:
1.] io conosco il sasso …
2.] se esiste un io che è il sasso …
3.] e poiché il sasso è qui l’intera realtà …
4.] questo io (soggetto/pensiero) non posso essere io (perché sono “troppo”
piccolo) …
5.] questo sasso è Dio, poiché io conosco il sasso (ovvero le sue leggi) …
6.] poiché dunque io conosco, Dio esiste, essendo la mia condizione di
conoscibilità della realtà (sedicesima dimostrazione: “ruiniana”; Card. Ruini: "solo l'esistenza di Dio può spiegare che l'universo è intelligibile").
osservazione sulle dimostrazioni dim_16 e dim_147
quando il card. ruini dice che il
verbo e il creatore sono condizione per la conoscibilità dell’universo
[dim_16], ciò può collegarsi all’applicazione epistematica del kantismo a dio,
di cui alla dimostrazione dim_147: come detto, il verbo è l’apparato
categoriale di dio, che filtra il noumeno e [hegelianamente] crea l’universo,
come fenomeno, per questo conoscibile tramite il verbo/logos.