PRIMA DIMOSTRAZIONE (ANTROPICA: questa dimostrazione
utilizza il principio antropico)
Il pensiero serve per pensare la realtà. Ma il pensiero dell’uomo
pensa e non pensa la realtà. Ad esempio: io penso ad una cosa, poi
penso ad un’altra cosa, e cesso di pensare alla cosa precedente; lo
scienziato studia il cosmo, ma quando dorme cessa di studiarlo.
Poiché il pensiero serve per pensare la realtà (la funzione del
pensiero è quella di pensare la realtà e se stesso), deve esistere
un pensiero che pensi la realtà e non smetta mai di farlo, cioè che
la pensi in modo continuo e anche totale, perché a questo serve il
pensiero. La realtà è la totalità di ciò che esiste. Il pensiero che
pensa la totalità, è il pensiero totale, cioè infinito. Quel
pensiero, che non smette di pensare la realtà, e la pensa “tutta”,
essendo infinito, è Dio. Dio pensa una persona, tutte le persone, e
non smette mai di pensarle, perché il pensiero deve pensare “sempre”
e “tutto”: sempre, quindi Dio è pensiero eterno; tutto, quindi Dio è
pensiero infinito. Dio è il pensiero totale e continuo, perché a
questo serve il pensiero.Non basta tuttavia dire che il pensiero,
secondo la sua funzione, deve esistere come infinito (pensiero che
pensa tutta la realtà) ed eterno (pensiero che pensa la realtà in
modo continuo), bisogna effettivamente dimostrare che un tale
pensiero (Dio) esiste. Il pensiero dell’uomo esiste. Ma questo
pensiero non corrisponde alla funzione del pensiero, perché può non
pensare. Poiché, dunque, esiste un pensiero (nell’uomo), il pensiero
esiste, ma esso non esiste, nell’uomo, secondo la funzione del
pensiero (il quale pensa sempre la realtà, anche nelle favole e
nella fantasia, proiezioni varianti del soprannaturale invariante:
seconda dimostrazione). Come può dunque esistere nell’uomo la forma
del pensiero, senza che a questa forma competa ciò che vi
corrisponde per essenza ? Come può esistere un pensiero, senza che
esista (da qualche parte …), in quanto esiste il pensiero, il
pensiero stesso corrispondente alla sua funzione ? (e che rende il
primo “possibile”, proprio come imperfetto). Si sostiene qui che, se
esiste un pensiero, deve esistere il pensiero “in sé”, cioè un
pensiero che effettivamente “pensi”, in modo appropriato. A questa
domanda si risponde con l’impostazione della decima dimostrazione,
in cui convergono le seconde versioni (dimostrazioni ottava e nona)
delle dimostrazioni prima e seconda.
nota_1
la presente dimostrazione ripete due volte lo stesso
argomento [debole], rimandando poi alla dim_10. essa tuttavia appare corretta
[forte], perché per pensiero_in_sè non si è intesa l’idea platonica del
pensiero, che andrebbe dimostrata esistente, e che l’episteme identifica ad una
porzione cerebrale dell’iperuranio, computer/intelligenza_artificiale, e della
mente di Dio [agostinianamente], ma la sua funzione auto_concettuale: non è il
pensiero perfetto, che deve sempre pensare, ma semplicemente il pensiero solo
in quanto pensiero.
nota_2
Secondo il principio
antropico (definito in relazione al rapporto tra l'uomo e il cosmo,
ed epistemicamente trasferito al rapporto tra Dio e
l'esistenza), la realtà ha posto la mente per essere pensata da
essa (principio antropico). In questa prima dimostrazione l'episteme
si serve del principio antropico: se il pensiero è stato posto dalla
realtà per pensarla, esso deve poterla commensurare; se, quindi, la
realtà è l'immensità dell' esistenza, per poterla riflettere (anche
in forma empirica), il pensiero deve essere immenso
(Dio). L'episteme corregge però il principio antropico: la
realtà non ha posto il pensiero "per" pensarla; lo ha posto in modo
da pensarla (e rifletterla in tutta la sua immensità). Ciò deve
essere precisato, perchè se il fine del pensiero è il pensiero della
realtà, Dio si aliena nella realtà (alienazione di Dio), invece: il
primo pensiero di Dio è Dio stesso.